
“Il ciclone, quando arriva, ‘un t’avverte. Passa, piglia e porta via. E a te ‘un ti resta che rimanere lì, bono, bono a guardare e a capire che se ‘un fosse passato, sarebbe stato parecchio, ma parecchio peggio.“
Leonardo Pieraccioni concluse con queste parole il suo film “il Ciclone”, un capolavoro di ironia, leggerezza e comicità toscana che nel 1996 segnò uno storico record di incassi.
L’attore fiorentino, nell’estate di 25 anni fa, girò quasi tutte le scene del suo gioiello cinematografico nella sua regione, e in particolare nel Casentino.
Non si può non ricordare lo scambio di battute nella farmacia di Poppi tra Benedetta Mazzini, figlia della “tigre di Cremona” Mina, e il regista che si innamorò di Stia al punto da ambientare gran parte della commedia nel Comune dove nasce l’Arno.
In Piazza Tanucci, palcoscenico silente e forse ignoto a chi l’ha intravista soltanto dagli schermi televisivi, si erge la chiesa di Santa Maria Assunta dove lo sciagurato impresario Alessandro Haber sposò la sua Franca, cameriera del bar antistante, tuttora in attività.
Chissà se è stato Pieraccioni a portare il ciclone a Stia, oppure se è stata Stia a travolgere Pieraccioni nel suo ciclone.


Un ciclone di spontaneità, di naturalezza, di genuina accoglienza, che si può respirare soltanto nei borghi remoti, incontaminati dall’omologazione e dalla perdita d’identità locale, e ancora profondamente autentici.
Dal ‘96 a oggi, la Piazza, in discesa e con una simbolica fontana a segnarne il centro, non è cambiata, e probabilmente, non cambierà mai.
Tutte le comparse, rigorosamente estrapolate dal contesto quotidiano della popolazione autoctona, ricordano ancora con affetto di aver prestato il proprio volto alla pellicola che portò il loro paese nei cinema dello Stivale, e nelle case di tutti gli Italiani.
Nei pressi del centro storico è ben visibile il campo sportivo di calcio Stefano Milli, dove oltre allo Stia, militante in seconda categoria e con la divisa viola come la Fiorentina, vi è un’altra squadra che disputa il campionato amatoriale ARCI, e porta proprio il nome “a.c. il Ciclone”.
Il Ciclone non si ferma alla contemplazione di quei luoghi che si fregiano dell’onore di essere stati sul set né all’urlo di gioia di un attaccante che segna il gol decisivo all’ultimo minuto, ma si spinge oltre.
Il vento, caldo e travolgente, si affaccia sulle rive del Canto alla Rana, un parco meraviglioso a pochi chilometri dalla sorgente dell’Arno dove generazioni su generazioni hanno trascorso estati indimenticabili tra tornei di beach volley, percorsi mozzafiato presso il Parco avventure Adrenalina e tuffi acrobatici in un’acqua tanto limpida quanto gelida, ma che scalda l’anima.
A pochi isolati da Piazza Tanucci spicca imperioso il complesso del lanificio.
L’azienda tessile produttrice del Panno Casentino dal tipico color verde o arancione oggi è stata parzialmente convertita nel Museo dell’arte della Lana, che ripercorre la storia di un tessuto rinomato a livello internazionale per la sua straordinaria qualità.
Ed è sia nei mesi più torridi, mai afosi grazie alla protezione del Monte Falterona e delle colline, sia durante l’inverno, spesso accompagnato da qualche fiocco di neve, che il Ciclone continua a passare in ogni angolo di Stia, e chi la visita è inglobato in un vortice che ci spinge ad allontanarci per poi tornare sempre a casa.
Quella casa, tra Toscana e Romagna, dove di primo impatto sembra che non ci sia niente, ma dove in realtà abbiamo tutto quello che ci serve.
E anche se le ballerine spagnole non sono più tornate a trovarci, a Stia la musica del flamenco suona ancora.
Ricordandoci che il Paradiso non è un luogo da raggiungere, ma una sensazione da vivere.

“El paraiso no es un lugar donde ir, sino una sensación para vivir”
(Il ciclone).